24/02/12

Il culto di Jiganya

Gli officianti si sono riuniti nella pianura. Davanti a loro c'è un gigantesco idolo in forma di piramide dorata con un grande occhio al centro. Il suo nome è Jiganya. Gli officianti salmodiano e venerano Jiganya elevando formule stereotipe e compiendo sacrifici, tutti presi dal loro fervore. Io mi rifiuto di adorare un manufatto. Sono quello che non si unisce al culto e avverte gli officianti del pericolo che corrono, dicendo loro: "Guardate che solo la superficie dell'idolo sembra fatta d'oro, dentro è pieno di cacca". Non ci sono dubbi: è ben comprensibile che per questo motivo io sia tutto fuorché amato dagli idolatri.

A mio avviso la morale di questo microracconto non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Chi ha orecchie per intendere intenda. 

22/02/12

Espulsione apparente

Il mondo che non era un mondo si spacca e la biologia si estingue come una parola schiacciata da una tirannia semantica. Nuovi mondi che non diventeranno mondi nasceranno e si moltiplicheranno, fino alla prossima epurazione. Fiotti di materia che non c'era inondano fantasie di ogni tipo, anche quelle che non distinguono tra magia e tecnologia. Il bardo, intanto, è solo, le sue canzoni non si sentono, schiacciate dal rumore della città spezzata. Un mattone colpisce la testa del bardo, il bardo muore. Qualcuno ha sentito l'ultima nota: non la dimenticherà. La coscienza si espande. Le astronavi lasciano il pianeta ma non vanno al di là dell'urlo di morte del mondo che non era un mondo. Geometrie di nulla bruciano atmosfera e satelliti, contaminando di radiazioni aliene l'aria. Il cadavere del bardo ha un sussulto. Un cane con dodici gambe esplode – dodici persone muoiono. La testa del cane vive ancora e cammina su zampe-orecchie. Il cane si ferma, vomita e la chiazza di vomito ha le sembianze del bardo morto. Nella pozzanghera fetida, il riflesso liquido di astronavi di luce gialla vittime di un decollo inutile.

03/02/12

V

Sebbene non abbia un dentro e un fuori, il Miwi è visibile tanto dall’esterno quanto dall’interno. Il Miwi ha la forma di un cubo ed è insieme parte, tutto e niente, come un riflesso di un riflesso proiettato olograficamente nel passato. Il Miwi è statico e dinamico, ma l’occhio umano lo percepisce come una gelatina fluttuante. Il Miwi è anche questo, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Il cubo è, è stato e sarà un mazzo di fiori carnivori, un'automobile con ruote di ghiaccio, un intestino foderato di velluto. Attraverso la biologia, il cubo, cioè il Miwi, sembra combattere per un senso. La realtà delle cose è un intrico senza inizio e senza fine fatto di vomiti cerebrali autolegittimati. Il cervello dice che il cervello è l'unico organo abilitato a interpretare la realtà. Mentre illudiamo noi stessi della mobilità del cubo, ergendoci a origine del vero e del falso, della materia e del sogno, universi guasti traboccano dalle falle dell'ermeneutica. Il cubo esiste. Il cubo non esiste. Il movimento del Miwi, quindi anche della realtà delle e nelle cose, è un non-movimento. Tutto è fermo e vivo e morto – mai stato. Le nuvole sono anche nel Nulla. Ma poiché appartengono agli occhi – dentro i quali si addensano, viaggiano e piangono – se sono nel Nulla mentono.

Disgregare

Disgregare

Disgregare,
Dipanare una trama sottile
Nodi accartocciati di forme e disegni
Colori, come un tappeto mediorientale,
Calpestate esistenze
Monotonie nel niente.
Impronte.

Sciabordii di un ghetto segreto
Baldacchini di bianco e sinagoghe ovunque.
Ascolta!
Il tempo ha perso sostanza
E il muto silenzio giace su ogni cosa.
Polvere.